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Sullo sciopero generale del 22 settembre - Intervista per Contretemps

Collettivo redazionale

Pubblichiamo un'intervista che abbiamo realizzato per Contretemps, che uscirà in francese nei prossimi giorni, come proposta di sguardo sullo sciopero generale del 22 settembre.

In che modo si è giunti alla giornata del 22 settembre? All’estero, ancor più che in Italia, essa è stata raccontata come una mobilitazione sorta spontaneamente, dall'indignazione rispetto a quanto sta accadendo a Gaza e dalla complicità dell'Occidente. È realmente così? Si può davvero parlare di spontaneità? E quali sono state le principali componenti sociali e politiche che hanno animato la giornata del 22 settembre?

Il tema spontaneità/organizzazione è piuttosto denso, e non intendiamo qui affrontarlo da un punto di vista “teorico”. Diciamo però preliminarmente che come Teiko abbiamo dedicato il numero Zero del nostro progetto proprio al tema dell’organizzazione come enigma, cercando di produrre un’inchiesta su come tale problematica si sia posta nel corso dell’ultimo decennio in vari contesti e latitudini. A partire da ciò, ci pare utile provare ad andare oltre una visione manichea di spontaneità e organizzazione quali momenti dicotomici, nettamente separabili, o contrapponibili. Esistono evidentemente le forme organizzate, che possono (o meno) muoversi come un ‘ecosistema’, per usare la terminologia proposta da Rodrigo Nunes, così come esistono forme “spontanee” se con tale tema indichiamo “eruzioni sociali inattese”. Ma le dinamiche dei conflitti sociali sono sempre molto complesse.

Entrando nello specifico, l’Italia ha sempre avuto forme di solidarietà internazionalista con la Palestina molto forti e radicate, e anche nel corso dell’ultimo ventennio a ogni bombardamento su Gaza da parte di Israele sono corrisposte mobilitazioni (pur con differenti soggetti sociali e intensità). Da ottobre 2023 si sono susseguiti diversi momenti di mobilitazione: nell’autunno di quell’anno con un forte protagonismo delle periferie, di soggetti arabofoni, delle cosiddette “seconde generazioni”, e di un quadro politico militante. Tra febbraio 2024 e la primavera le mobilitazioni sono state guidate più da una dimensione giovanile legata a scuole e università, con mobilitazioni contro la RAI (la televisione pubblica italiana) per come stava trattando la questione palestinese, e con le acampade di maggio che si erano riprodotte a livello transnazionale. Dall’autunno-inverno e fino all’estate 2025 si sono dati molti momenti di mobilitazione soprattutto come cortei a livello nazionale, ma entro perimetri mobilitativi più noti legati a partiti e sindacati, ai Giovani Palestinesi (organizzazione costituitasi a partire dal 2023) e a centri sociali e collettivi. Questo background di mobilitazione va tenuto presente, così come il progressivo crescere dell’indignazione sociale per il genocidio e le complicità e sostegno occidentale.

Ciò detto, parlare di una mobilitazione “spontanea” rischia di risultare davvero fuorviante. Da un lato è fuor di dubbio che la giornata del 22 settembre sia stata un’enorme sorpresa per chiunque come numeri della partecipazione e radicalità. È una giornata che ha sicuramente e di gran lunga ecceduto i perimetri delle forme organizzate, che ha “rotto gli argini”. Se con questo intendiamo “mobilitazione spontanea”, allora sì. Ma in questo modo rischieremmo di non vedere una serie di cose fondamentali per comprendere la riuscita del 22 settembre. Oltre alla suddetta mobilitazione precedente, va preso in considerazione il ruolo della Global Sumud Flottilla, un’iniziativa politica organizzata che ha funzionato da detonatore. Bisogna considerare l’importanza che ha avuto un enorme corteo a Genova che ha accompagnato la partenza di alcune barche della flotta al termine del quale il CALP, collettivo di lavoratori portuali, ha lanciato l’appello al “bloccare tutto” che è circolato moltissimo. Così come si può ricordare un grosso corteo concomitante a quello genovese svoltosi a Venezia durante la Mostra del Cinema. Non si può inoltre sottostimare che senza la convocazione dello sciopero da parte di molti pezzi del sindacalismo di base la giornata non si sarebbe data, così come un ruolo hanno avuto molti movimenti e collettivi nel dare risonanza alla giornata. Quindi, per concludere, probabilmente più che domandarsi se sia stata una giornata organizzata o spontanea potrebbe essere più utile mappare la molteplicità di percorsi e fattori che l’hanno resa possibile, con un amalgama potente tra lavorio quotidiano militante, mobilitazione sociale, capacità di “cogliere il momento”, indignazione sociale, orientamento della sfera mediale, etc. La giornata del 22 ha comunque “esondato”, andando oltre la somma di tutte le realtà menzionate. Non è questione di “spontaneità”, ma di una spinta, di una dinamica sociale reale di mobilitazione che ha aperto un nuovo orizzonte.

Rispetto alla domanda sulle componenti sociali, difficile in così poco spazio proporre un quadro analitico preciso, e va tenuto conto di come il contesto italiano presenti significative eterogeneità di composizione sociale a livello geografico. Procedendo dunque più che altro a spanne e per impressioni, a livello sociale il “soggetto” che ha maggiormente definito la mobilitazione è quello lavorativamente impiegato nel settore pubblico, in primis le scuole di vario ordine. Si è inoltre mossa una componente giovanile molto estesa, da giovanissime/i a universitarie/i, ma anche significativi pezzi di 30-40enni per lo più impiegati nel terzo settore o nel lavoro autonomo, o in quello che in termini sicuramente oggi insoddisfacenti potremmo definire del “precariato”. Ma c’è stata anche una significativa partecipazione di soggetti “trasversali”, non immediatamente riconducibile a categorie organizzate.

Ad ogni modo, le piazze sono state per lo più vissute in modo non legato alla propria appartenenza professionale o alle singole organizzazioni. Sia per i limiti posti allo sciopero generale dal quadro legislativo (in Italia il “diritto di sciopero” è sempre più limitato da decenni di politiche restrittive) che per la conflittualità tra sindacati, le piazze hanno visto una scarnissima partecipazione di lavoro dipendente privato (fabbriche e logistica in primis, che invece sono state protagoniste di altre mobilitazioni in precedenza). Come già accennato, a livello di organizzazioni lo sciopero è stato convocato da molte sigle del sindacalismo di base, a partire dall’Unione sindacale di base, e dalla galassia di collettivi, movimenti, piccoli partiti e organizzazioni. Può valere la pena sottolineare che il principale sindacato italiano, la CGIL, ha convocato in fretta e furia uno sciopero di qualche ora il 19 settembre nel tentativo di “intestarsi” la partita in competizione con il sindacalismo di base. Una mossa andata molto male e contestata dalla sua base – senza tuttavia sottostimare il fatto che la CGIL continua a rappresentare un pezzo di composizione di classe operaia ed evidenziando, d’altro canto, che una parte significativa del mondo CGIL era comunque in piazza il 22 nonostante le indicazioni della dirigenza.

Copertina del primo numero di Teiko

Stazione di Milano

Quali sono state le principali forme di azione che hanno contraddistinto la giornata? In Francia, il 10 settembre, si è registrata una mobilitazione di rilievo sotto lo slogan bloquons tout. Anche in Italia la pratica del blocco ha rivestito un ruolo significativo? Quale rapporto si è messo in atto tra "sciopero politico" e il repertorio di azioni molto vario che abbiamo visto all'opera? In che misura la sequenza inaugurata il 22 in Italia è frutto di una circolazione delle lotte? Quale relazione intercorre tra la Global Sumud Flotilla e le mobilitazioni di questi giorni?

 La giornata ha visto manifestazioni dai grandissimi numeri in un’ottantina di città di varie dimensioni, con una partecipazione stimata tra il mezzo milione e il milione complessivamente. Nelle città più grandi le azioni principali sono state tutte orientate al blocco di porti, autostrade, tangenziali e stazioni. In blocco dunque è stato cruciale, e seppur in forma sicuramente embrionale e per lo più agita da militanti si sono diffuse anche pratiche di blocco di scuole e università in vari contesti.

In parte sono risuonate alcune eco dalla Francia, ma va detto che sia “il nemico” della mobilitazione (tutto “interno” in Francia, contro Macron e il suo mondo; tutto “esterno” in Italia, contro Israele e per la Palestina) che l’evoluzione dei conflitti sociali dell’ultimo decennio (potente in Francia, debolissimo in Italia) rendono non immediatamente comparabili i due contesti. Ciò non toglie che il tema del blocco sia stato cruciale. Lo slogan della giornata era esplicitamente “blocchiamo tutto”, e la mobilitazione si è data su quelle corde su un livello di massa. Anche i momenti di conflittualità più forti, come ad esempio negli scontri alla stazione di Milano, in quelli sull’autostrada a Bologna, o anche al porto di Venezia, hanno visto una ampia partecipazione giovanile ma anche un deciso sostegno di tutto il corteo: un altro segno della forza della spinta sociale a cui abbiamo accennato in precedenza, con famiglie con bambini che intendevano effettivamente fare in piazza quello che la giornata chiamava a fare, ossia “bloccare”.

Una questione da approfondire, come indicate, è quella di come si siano positivamente unite le forme di blocco con quelle di sciopero. Nell’ultimo quindicennio i due passaggi, in Italia, hanno molto raramente proceduto assieme. I movimenti studenteschi tra il 2008 e il 2010 avevano evocato lo sciopero ma in sostanza avevano praticato blocchi logistici di massa, le maree transfemministe e gli scioperi climatici si sono per lo più realizzati come presa delle strade nella forma manifestazione, senza praticare blocchi dei flussi di cruciali snodi logistici. Anche gli scioperi sindacali hanno fatto raramente uso dello strumento del blocco, fatta eccezione per le lotte nel settore logistico organizzate nel sindacalismo di base e qualche episodio sporadico – in proposito, vale forse la pena dire che proprio quest’estate la CGIL, il principale sindacato italiano, aveva attraversato bloccando la tangenziale di Bologna, sfidando un nuovo decreto governativo che inasprisce le pene dei reati connessi al blocco. Una dinamica, quest’ultima, che i governi italiani portano avanti da ormai molti anni.

Lo sciopero, come dite, è stato “politico” se con questo intendiamo non direttamente legato alle proprie condizioni lavorative. È tuttavia ancora del tutto da indagare che tipo di pulsioni si siano smosse per la riuscita della mobilitazione. Il tema delle piazze è stato tutto esplicitamente legato al rifiuto del genocidio e alla solidarietà con la Palestina. Cosa però vi sia di implicito è ripetiamo qualcosa da esplorare, in un contesto in cui in Italia si vivono anni di sostanziale immobilismo sociale nonostante un contesto non certamente roseo in termini di condizioni di vita. In che modo, ad esempio, la mobilitazione nei porti sia riconducibile anche a tematiche che affondano le radici in problematiche lavorative, come l’adesione delle scuole sia legata anche ad altri temi, come la pulsione al blocco di alcuni luoghi simbolo come la stazione di Milano possa affondare anche in dinamiche di esclusione quotidiana dal suo accesso per forme di proletariato giovanile… è tutto un contesto da approfondire e su cui, richiamando l’armamentario dell’operaismo rivoluzionario italiano, si tratta di immaginare percorsi di con-ricerca con questi soggetti sociali. Quello che è certo è che il 22 settembre è stata l’approssimazione più potente a ciò che potrebbe significare oggi fare un vero “sciopero generale”.

Per chiudere, il 22 è stato, come in parte già detto, un miscuglio di molteplici traiettorie. Indubbiamente è stata la più grande giornata di lotta “autorganizzata”, promossa da sindacati di base e collettivi/centri sociali, ma appunto c’è molto altro e non può certo essere ricondotta a tali realtà che l’hanno convocata. Sono circolate la “forma marea” del prendersi le città e la pratica del blocco e dello sciopero, le mobilitazioni pro-Palestina precedenti, etc. Va probabilmente anche considerato un quadro politico italiano in cui i principali sindacati e partiti di opposizione non sono stati sostanzialmente in grado di leggere il contesto. La CGIL – che non è la CGT, e va considerato che in Francia non esiste sostanzialmente il sindacalismo di base - non ha scioperato per ragioni sostanzialmente “settarie”, di competizione con il sindacalismo di base, così come il PD o altri partiti di sinistra non sono certamente La France Insoumise. Va altresì detto che nei giorni successivi stanno cercando di rincorrere la mobilitazione.

Per concludere, come accennato in precedenza, la Global Sumud Flottilla è stata l’elemento detonatore centrale per la mobilitazione. Senza di essa non ci sarebbe stata la qualità nuova della mobilitazione che ha caratterizzato la giornata del 22. La Sumud ha funzionato infatti sia come elemento simbolico e di immaginario, che come concreta pratica per rilanciare e dare senso alla solidarietà internazionalista con Gaza. La capacità di costruire una narrazione politica che legasse il viaggio della Sumud verso Gaza con la costruzione di un “equipaggio di terra” a suo sostegno è stata importante per costruire la mobilitazione. Possiamo ad ogni modo provare a scommettere che quanto vissuto sinora sia solo un inizio…

Copertina del primo numero di Teiko

Stazione di Milano